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Serie D

Regola under, qualcosa non torna

La discussione tiene banco da tempo nel mondo dilettantistico, ma non solo. Pochi giorni fa l’attuale allenatore della Ternana, Cristiano Lucarelli, sul proprio profilo Instagram ha pubblicato la seguente riflessione: “Ieri è iniziato il campionato di Serie D, anche quest’anno con l’obbligo delle quattro quote. Siccome quasi tutti le utilizzano sugli esterni a destra e a sinistra, a occhio e croce in Italia nell’ultimo decennio o forse più, avremmo dovuto sfornare almeno 1000 Paolo Maldini e 1000 Maicon”. Come dire, severo, ma giusto. E in effetti un principio di verità ci sta tutta perché parliamoci chiaro, la maggior parte degli allenatori di Serie D sceglie di schierare gli under proprio nel ruolo di terzino o in porta, ma soprattutto chi, tra gli addetti ai lavori, non ha mai dubitato della reale efficacia di questa regola? Imporre di far giocare ragazzi che spesso non sarebbero pronti nemmeno per le formazioni giovanili di un certo livello sembra una scelta che non può portare da nessuna parte se non a un fisiologico calo, per altro sotto gli occhi di tutti, della qualità generale del calcio italiano. Puntare sui giovani deve essere un’opportunità, non un obbligo, anche perché così si rischia di affossarli prima ancora che possano avere il tempo di crescere, imparare, sbagliare e giocare se lo meritano, non solo per via dell’obbligo regolamentare. E soprattutto si costringono le società a fare numeri, perché, conti alla mano, con quattro under obbligatoriamente in campo, significa averne almeno una decina in rosa e ciò, dai club, viene vissuto quasi sempre come una sorta di “problema” da risolvere velocemente, nel momento in cui si allestisce una squadra. E a farne le spese è ancora una volta la qualità a discapito della quantità. Le buone intenzioni di chi aveva legittimamente pensato di valorizzare i giovani sembrano ormai svanite nel nulla e ogni anno ci si ritrova con il solito dilemma. A chi e cosa serve realmente questa regola?

Andrea Grassani